Wall Dialogue Resistance

«Il rapporto tra il prima e il dopo lockdown è forte anche nel progetto di Sara Marasso e Stefano Risso, anche in questo caso una danzatrice e un musicista. L’idea originale era racchiusa nel titolo Wall Dialogue Resistance con l’obiettivo di indagare il rapporto con i muri, in un approccio ad ampio raggio su un simbolo – il muro, appunto – gravido di numerose connotazioni esistenziali, filosofiche, sociali, politiche, estetiche. Il Covid ha arricchito e probabilmente piegato il progetto verso altre direzioni, che sono state esplorate nella residenza dopo mesi di confronto a distanza tra i due artisti. Lo studio è presentato dentro la piscina vuota di Teatri di Vita, dove stanno anche gli spettatori, che con gli artisti condividono dunque la “chiusura” di quattro muri: una scatola, la proiezione della propria casa, l’evocazione di un lockdown oltre il quale svettano gli alberi del parco verso il cielo.

E’ l’idea di un muro non opprimente quello esperito da Marasso e Risso: un muro senza pesanti stratificazioni morali, senza giudizi, e perciò aperto alle interpretazioni. E così la domanda iniziale “Cosa c’è al di là del muro?” si stempera in un dialogo con il muro inteso non come ostacolo ma come condizione strutturale. Il muro delimita lo spazio, imponendo ai performer traiettorie interne che si scontrano con le pareti ma senza angoscia: sono esplorazioni e tentativi di forzatura, non assalti alla distruzione.

E la domanda ottiene una risposta obliqua: “It’s about us and invisible things”, che Marasso scrive a caratteri cubitali sul muro, rimandando il senso del confine e della chiusura a una responsabilità individuale e sociale (riguarda noi), ma anche cose che non vediamo, che stanno al di là del muro ma che potrebbero starne anche al di qua, o al di dentro. E come per magia, l’enorme graffito con la scritta lentamente svanisce, come assorbito dal muro stesso, risucchiato dalla porosità di una parete di cemento che sembra respirare come cosa viva.

Altrettanto semplicemente, anche il lockdown ideale dentro questa scatola svanisce, con i performer che salgono sopra il muro, mentre il tappeto sonoro si amplia con tante voci (“us” e “invisible” anch’esse: quelle voci siamo noi, e sono una folla invisibile), a ribadire una moltitudine di flussi di pensiero quasi intrappolati e pur sempre liberi. Sopra il muro, Risso suona il contrabbasso.

Ma non è il violoncello di Rostropovich sulle macerie del Muro di Berlino: il segno porta non alla distruzione del muro ma alla convivenza con una barriera che fa parte inevitabile della nostra natura. Nell’immagine finale il muro, che ha ormai riassorbito i graffiti presentandosi come una parete immacolata, resiste al nostro sguardo, ma sopra di esso i due performer ribadiscono la vitalità del corpo e della musica, sullo sfondo di un muro di alberi e di un cielo blu intenso, mentre su una parete laterale un video rimanda i loro corpi che vanno e vengono verso un altro muro: e così, il muro immateriale del video proiettato sul muro reale offre un’ulteriore possibilità di confronto, scontro e incontro, prima che anche quest’ultimo muro assorba anche quest’immagine in movimento nella sua indecifrabile compattezza di cemento».

Stefano Casi, «Il Distanziamento sociale del Danzatore», Casi critici, Giugno 2022 

ph Laura Farneti

«La danzatrice comincia analizzando minuziosamente il muro: sembra voler farlo suo, capirlo, (ap)prenderlo. Impossibile guardare oltre: i mattoni, la materia, impediscono di vedere al di là. Non rimane che guardare il muro stesso, in ogni suo dettaglio, e godere della forza di attrazione che quel limite di mattoni sprigiona. (…) Noi, il pubblico, ci muoviamo continuamente verso il muro, come attirati da un magnete invisibile. E quella stessa energia la ridiamo al mondo: la danza di Sara Marasso è tutt’altro che fluida, contratta, espressione di una potenza non umana. Eppure, permette e guida il movimento di un corpo umano. È qui che il limite smette di essere tale: seppure invisibile, ciò che è al di là incide sulle vite che sono di qua, muove corpi, apre domande, ci rende parte di un tutto che non vediamo ma che ci investe. Il muro, una realtà fisica, materiale, non è più impedimento, ma una definizione degli spazi, una delimitazione che non limita la comunicazione né la connessione con il mondo».

Giulia Lannutti

«Già, che c’è dietro il muro? Una domanda che spesso torna, persiste e mi disturba nelle sere di pensieri esistenziali e poi… Anch’io più volte ho sentito quella naturale ansia, paura, che mi fa rimanere dietro quella parete, perché sto al sicuro, perché è quello che ho imparato che si “deve fare”… Ovviamente non parlo del muro di Berlino o di quello quasi fatto in Mexico, parlo dei muri che tagliano il mio sguardo e accorciano la mia mente. Parlo di quello che ho pensato, mentre vedevo come la danzatrice spingeva, saltava, si fermava, ripensava e tornava a spingere…».

Julio Ricardo Fernandez

 

Wall dialogue. Qué pasaría si te atreves a mirar más allá del muro Spettatori Migranti / Attori sociali – Progetto di scrittura critica ideato da Luca Lotano con il supporto della redazione di Teatro e Critica per Attraversamenti Multipli, Roma in occasione della presentazione dello studio per Largo Spartaco, Settembre 2020